23 novembre 2020 – Io comprendo perfettamente che, nella situazione in cui ci troviamo, ragioni di cautela impongono di ridurre spostamenti ed assembramenti; ma sono, e resto contrario, alla possibilità di recente introdotta di svolgere la Camera di consiglio da remoto, in Cassazione.
Per quanto ne so io, oggi funziona così: il Presidente ed il Relatore ricevono la cd. carpetta, che contiene la copia degli atti del giudizio di cassazione e della sentenza impugnata. Gli altri Componenti del Collegio non hanno nulla. Ci si riunisce in videoconferenza, ciascuno da casa propria tranne uno che è in ufficio, ed ha la disponibilità del fascicolo. Il Relatore fa la sua relazione, che riguarda atti che gli altri non hanno mai letto e che, si badi – perché da remoto la differenza sostanziale è questa – non possono nemmeno leggere sul momento, se vogliono approfondire, perché non sono consultabili via internet: al massimo, possono chiedere a chi è presente in sede di leggerglieli.
In sostanza, la maggioranza dei Componenti del Collegio decide ricorsi che non ha mai letto, e che non può neppure sfogliare al momento di decidere per esaminare i punti essenziali: fa una valutazione della verosimiglianza e della coerenza della relazione. L’obiezione è scontata: può farseli leggere da remoto. Risponderei con una domanda, anzi due: per voi, leggere o farsi leggere da un terzo è la stessa cosa? E non vi è capitato mai di dover rileggere più volte un periodo o una frase, prima di essere certi di aver capito bene? Che succede, in quei casi? Chi è presente in sede rilegge più volte, magari per decine di ricorsi?
Ed ancora. Oggi, si decidono ricorsi successivi al 2012, quando le Sezioni unite hanno “ammorbidito” l’autosufficienza, indicando che non è più indispensabile trascrivere, ma basta la indicazione precisa dell’atto cui si fa riferimento, e della sua collocazione: ridiventerà necessaria quella trascrizione che spesso non c’è su indicazione delle Sezioni unite e del protocollo, ora che lo stesso Relatore quegli atti non li vede più?
Sia ben chiaro: ho la massima stima dei Componenti della Corte, e sono certo che faranno miracoli per assicurare il miglior livello delle decisioni; ma quella è la Corte di ultima istanza, dove si discute e decide definitivamente delle sorti dei cittadini.
Per questo, debbo confessarlo: pur comprendendo le esigenze della prudenza, se le sorti di cui si discute e decide fossero le mie, forse avvertirei un qualche disagio nel venire a sapere che sono state decise da persone che, nella loro maggioranza, non solo non hanno studiato gli atti della mia causa, ma non li hanno mai nemmeno visti, perché erano a molti chilometri di distanza.
So che la ricerca dell’equilibrio tra una sentenza pronta ed una sentenza giusta è difficile sempre, ed in periodo di pandemia in modo particolare; ma forse anche per questo sarebbe bene che a valutare tutti gli elementi da bilanciare per cercare di raggiungerlo concorressero anche coloro che della giustizia usufruiscono, e non soltanto quelli che la dispensano. Consentirebbe di ponderare tutti i diversi punti di vista ed interessi, perché non esistono diritti che prevalgono sugli altri, e quello ad avere giustizia ha la stessa dignità di quello alla salute.
Antonio de Notaristefani