LA MONTAGNA STA PARTORENDO UN TOPOLINO

Lo so: la riforma della giustizia civile si articola su molti aspetti, e il rinvio pregiudiziale in Cassazione è sicuramente importante. Ma parliamoci chiaro: è un discorso per pochi. Tutti quelli che chiedono giustizia, invece, devono affrontare il processo di cognizione di primo grado. Per questo, confesso che oggi che i soldi ci sono, da quest’ennesima riforma – naturalmente, definita “epocale” come tutte quelle che l’hanno preceduta- mi sarei aspettato qualcosa di più di una réclame: il processo “pronto per la decisione alla prima udienza”. Oggi, il processo è “pronto per la decisione” alla seconda udienza: qualcuno ha mai visto deciderne uno, in quella occasione? Se è veramente “pronto per la decisione” si va per le conclusioni: un paio d’anni, mese più, mese meno. Altrimenti, ad un annetto per le prove. Conti alla mano, domani la riduzione sarà di 50 giorni (-80 per la eliminazione delle memorie, + 30 per l’aumento del termine di comparizione). Valeva davvero la pena di resuscitare il non compianto processo societario per risparmiare, se tutto va bene, 50 giorni sui 1270 che, secondo la tabella allegata al lavori preparatori del DDL 1662, rappresentano la durata media di un processo di cognizione in primo grado? Qualcuno obietterà: quello non è il processo societario, perché il giudice c’è sin dall’inizio, e controlla la regolarità delle notifiche: non ci saranno nullità non sanate per tempo. La toppa è peggio del buco, direbbero gli amici veneti. Visto che c’è il giudice, ma non l’udienza, si sono inventati il controllo della regolarità della notifica fuori udienza, fatto da un giudice in splendida solitudine, e senza possibilità di impugnazione. Che errore! Il principio del contraddittorio non è una concessione graziosa all’ansia di noi avvocati: è uno strumento per consentire al giudice di sbagliare meno, e per questo era entrato nel codice. Altri tempi. Certo, mi rendo conto che l’Europa chiedeva riforme urgenti; ma anche le riforme urgenti dovrebbero nascere dal confronto con chi è poi chiamato ad applicarle. Era uno dei privilegi della giustizia civile: poiché non scalda i cuori della politica, di regola il confronto era con gli addetti ai lavori. Stavolta è andata diversamente, peccato. Peccato, perché come scrisse Luigi Einaudi “le leggi frettolose partoriscono nuove leggi, tese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, essendo dettate dall’urgenza di rimediare ai difetti propri di quelle mal studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d’uopo perfezionarle ancora, sicche’ ben presto il tutto diviene un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi; e si è costretti a scegliere la via di minor resistenza, che è di non far niente, e frattanto tenere adunanze, e scrivere rapporti, e tirare stipendi in uffici occupatissimi a pestar l’acqua nel mortaio delle riforme urgenti”.
Ma non vorrei sembrare pessimista. Noi avvocati, insieme ai giudici, duemila anni fa siamo sopravvissuti al passaggio dalle procedure per legis actiones a quelle per formulas. Sopravviveremo oggi al “processo pronto per la decisione alla prima udienza”. Quando arriveranno le nuove norme, noi le interpreteremo.

Antonio de Notaristefani

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