UFFICIO DEL PROCESSO, O SEZIONI STRALCIO CAMUFFATE?

Gli obiettivi assegnati dall’Europa per la giustizia civile sono impressionanti: entro il 2026 dobbiamo ridurre la durata dei giudizi del 40%, e l’arretrato, sia in primo grado che in appello, del 90%. Di fronte a numeri del genere, la discussione sul rito (e tanto più su di una legge delega che dovrebbe dettarne i principi generali) è chiaramente uno strumento di distrazione di massa. Per ridurre del 90% in cinque anni l’arretrato serve (non modificare il rito, ma) aumentare il numero di coloro che decidono. Le sezioni stralcio sono state sicuramente una esperienza negativa, lo sappiamo tutti. Forse si sarebbero potute migliorare, prevedendone una composizione collegiale, con una adeguata qualificazione dei componenti, e trasferendo loro l’arretrato non in blocco, ma in modo selettivo sulla base di criteri seriamente ponderati e discussi. Non è andata così, e neppure si è immaginato un reclutamento straordinario e massiccio di magistrati. Temo che, tra veti incrociati e difficoltà oggettive, si vada verso un epilogo inevitabile: sarà l’ufficio del processo, su cui si è puntato, a moltiplicare il numero dei decisori. In una logica di tipo aziendale, il processo decisionale sarà affidato ad un team, coordinato dal giudice, che stabilirà in totale autonomia cosa delegare, e cosa fare lui. Lo confesso: non mi convince. L’ufficio del processo doveva servire non per smaltire l’arretrato, ma per evitare che si riformasse. Decidere delle sorti di un altro essere umano è un potere tanto terribile da dover essere esercitato in nome del popolo italiano, che lo ha attribuito ai singoli magistrati, non ad un team coordinato da uno di loro. La organizzazione dei Tribunali presenta dei profili di tipo aziendale, è vero; ma i Tribunali non sono aziende: sono il presidio della legalità. I giudici possono (e devono)  essere alla guida di un team nella organizzazione del lavoro, ma nel momento in cui decidono delle sorti dei cittadini devono restare soli con la loro coscienza. Le sentenze non sono prodotti, come i diritti di cui dispongono non sono merce: sono la vita- economica, lavorativa, affettiva, sociale, ecc. – dei cittadini. Una durata ragionevole è quella che consente una ponderazione adeguata alla rilevanza di quei valori e di quei diritti di cui nei processi si discute e decide: i processi civili devono essere decisi, non rottamati. Rendere la giustizia civile veloce è la aspirazione di tutti; ma se per rispettare gli obiettivi europei la velocità dovesse andare a scapito della equità si starebbe facendo una giustizia sommaria, che è cosa molto diversa.

Antonio de Notaristefani

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