L’ETICA DELLA LEGALITÀ, E LA PARALISI DEI TRIBUNALI

Rendere Giustizia, per noi avvocati come per i giudici, non è soltanto un lavoro, ma anche una missione.
Loro garantiscono il rispetto della legalità, noi proteggiamo l’uomo nella sua vita affettiva, economica e sociale, come i medici proteggono quella biologica. In fondo, siamo i medici della società, ed è nei momenti di crisi come questo che c’è più bisogno di noi.
Con i medici, condividiamo la empatia verso i nostri pazienti: se vi dico che dopo tanti anni ancora mi indigno quando leggo una sentenza che mi sembra ingiusta, credetemi.
Per questo, se voglio ricominciare a lavorare non è soltanto perché ne ho bisogno: non ne posso più, di continuare a comunicare rinvii, e se, grazie ai sacrifici di tutti, riaprono palestre, ristoranti e stabilimenti balneari, bisogna riaprire anche i Tribunali.
Rendere Giustizia, o fare in modo che sia possibile farlo, è pure un dovere, per giudici ed avvocati, come per il Ministro della Giustizia: bisogna adempierlo.
C’è anche una dimensione etica che impone di farlo: se va smarrita, non c’è riforma del CSM o inserimento in Costituzione che tenga. Sono gli uomini a plasmare le norme, e non il contrario.
Per questo, ho apprezzato, e molto, l’impegno di riaprire i Tribunali che il Ministro ha assunto venerdì alla mia presenza: adesso, bisogna tornare in aula.
Certo, non necessariamente tutto quel che è stato fatto in questi mesi deve essere buttato via: con gli opportuni correttivi, si potrà conservare quel che consente di evitare attività che il più delle volte si rivelano inutili, e magari anche attrezzarsi contro possibili rischi futuri.
Ma deve finire, e subito, la parentesi della tutela dimezzata: è il momento dei diritti difesi, questo, non più quello dei diritti negati.
Basta rinvii, per tutti, avvocati, giudici e politica: c’è un giudice, a Strasburgo, che in questi giorni ha ricordato che nemmeno una pandemia consente di negare la Giustizia, ed è compito di noi tutti fare in maniera che quella decisione venga rispettata. Lo dobbiamo a noi stessi, prima ancora che ai cittadini, e se qualcuno non avverte questo dovere non invidio la sua debole parte nell’esistenza.
Antonio de Notaristefani

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