Spesso noi avvocati tendiamo ad indignarci, quando a discutere di giustizia civile vengono chiamati economisti, o quando leggiamo che le classifiche dei sistemi giudiziari vengono redatte da una banca. È comprensibile. Non aveva torto, il Presidente dei Consigli degli Ordini forensi d’Europa, quando affermò che ”il dio degli avvocati non può essere lo stesso dio dei mercanti” e la nostra presenza, quando si discute e decide di giustizia, serve a garantire la equità degli interventi. Ma la realtà è che oggi la giustizia civile viene giudicata non per le tutele che assicura, ma per la ricchezza che produce. Ma se così è, quella giustizia smette di essere un costo, e diventa un investimento. E sugli investimenti non si deve lesinare, perché il Presidente Draghi ha chiarito che possono essere finanziati anche con il debito, se producono ricchezza, perché sono sostenibili. Per questo, piuttosto che continuare sfornare riforme che piacciono soltanto a coloro che le hanno ideate (l’eccezione della proposta A dell’ultima commissione, che piaceva un po’ a tutti, è stata immediatamente accantonata: cosa se ne facevano di tutta quella gente al Ministero se la giustizia civile avesse cominciato a funzionare per davvero?) forse è venuto il momento di cominciare ad investire denaro nella giustizia civile, assumere nuovi giudici, e cercare di cambiare i comportamenti troppo formalistici, piuttosto che le norme. Se la giustizia civile deve essere valutata in termini economici, bisogna aumentare l’offerta, non comprimere la domanda, magari frapponendo ostacoli inventati per scoraggiare l’accesso. Non credo che gli investitori esteri giudichino attrattiva la giustizia di un paese che viene condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché i suoi giudici di ultima istanza eccedono in formalismo, piuttosto che badare alla sostanza.
Antonio de Notaristefani