L’INDIPENDENZA DEGLI AVVOCATI

Ho assistito con sgomento crescente al montare della polemica sul commento che un giornale ha fatto della sentenza della Corte costituzionale che ha eliminato la censura sulla corrispondenza che i detenuti al 41 bis inviano ai loro avvocati.
Mi chiedevo: ma come? La Cassazione (che ha sollevato la questione) e la Corte costituzionale hanno ritenuto illegittima una norma del genere perché (cito testualmente) “si fonda su una generale e insostenibile presunzione – già stigmatizzata dalla sentenza 143 del 2013 – di collusione del difensore con il sodalizio criminale, finendo così con il gettare una luce di sospetto sul ruolo che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti del detenuto, ma anche dello Stato di diritto nel suo complesso”, e noi ci preoccupiamo di quello che pensa di noi il Direttore Travaglio?
Capisco lo avessimo fatto per ricordargli che già nel 1979 il Giudice delle leggi aveva chiarito (sentenza 125) che la difesa serve allo Stato, prima che ai cittadini o agli imputati, per tutelare beni e valori fondamentali dell’uomo: e perciò è irrinunciabile, oltre che inviolabile. Dovrebbe conoscerla, un giornalista, quella vicenda lì: per difendere quella irrinunciabilita’ sfidò il rifiuto delle Brigate rosse e quindi il sacrificio, nella consapevolezza che la toga non avrebbe fermato le pallottole, l’Avv. Fulvio Croce, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino. Abbiamo anche noi, le nostre rose spezzate (ne menziono un’altra: Giorgio Ambrosoli) e credo che dobbiamo a loro, oltre alla serietà dei comportamenti di tanti, il giudizio di cui la Corte costituzionale e quella di Cassazione hanno ritenuto di gratificarci. Forti di quel giudizio lì, direi che possiamo disinteressarci di quello del Direttore Travaglio o, almeno, conto di farlo io: qualche tempo fa, per ridurre i tempi dei processi civili, suggeriva di accorciare il mio cognome.
Antonio de Notaristefani

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