IL FASCICOLO DEI MAGISTRATI, E LA PESCA A STRASCICO

Ci sono coincidenze che sembrano un segno del destino: mentre infuria la polemica sul fascicolo dei magistrati, che preannnunciano lo sciopero perché lo considerano una schedatura, e temono (probabilmente, non del tutto a torto) che possa indurre al conformismo giudiziario, e quindi limitare la capacità di evoluzione dell’ordinamento, la Corte Suprema bacchetta una Procura, perché ha disposto un sequestro per cercare non le prove del reato per il quale procedeva, ma altri reati, di maggiore impatto mediatico, per i quali forse sperava di poter procedere.
Io lo capisco, il timore del conformismo giudiziario, anche se la motivazione della protesta mi avrebbe convinto di più, se avessi sentito levarsi la voce dei giudici quando sono state introdotte sanzioni pesanti per chi proponeva cause ritenute infondate, ed a volte poi rivelatesi innovative: dove erano, quando si è previsto che chi si vede respingere una impugnazione deve pagare un doppio contributo unificato? Perché, se una sentenza viene confermata, il cittadino (e qualcuno vorrebbe anche l’avvocato) deve pagare una multa, perché ostacola la efficienza della giustizia, e se viene riformata il giudice che l’ha emessa è un paladino del progresso della civiltà giuridica? Confesso di non riuscire a capirlo: magari, è un limite mio. E dove erano, quando si è previsto che chi propone una causa giudicata manifestamente infondata deve pagare non solo spese e danni, ma anche una multa? Insomma: i giudici hanno il diritto ed il dovere di adottare decisioni innovative, perché così garantiscono il progresso, ma guai a chi cerca di farglielo fare, se non ci riesce: fioccano multe, e pesanti. Sarà la prospettiva del mestiere che faccio, ma a me non sembra giusto. Ma qui parliamo di innovazione: come la mettiamo, con gli abusi? Secondo la Corte, quell’Ufficio ha (non adottato un provvedimento non condivisibile, ma) abusato del proprio potere: davvero stava contribuendo all’evoluzione dell’ordinamento nel suo complesso? E quante volte è capitato, a ciascuno di noi, di leggere provvedimenti che erano non opinabili, ma assurdi? Il numero 5 dell’art. 360 del codice di rito consente la censura per il mancato esame di fatti decisivi: bisogna tutelare anche chi non si legge le carte, in nome del progresso? Suvvia, siamo seri: una cosa è la opinabilità delle decisioni, che rientra nella fisiologica dialettica del processo nei suoi vari gradi, altra è la negligenza o l’abuso. Quelli, non sono più tollerabili: se la giurisdizione, come ormai si ripete spesso, è una risorsa limitata, non può essere sprecata per porre rimedio alla cialtroneria: per questo, il problema non è il fascicolo, che in fondo esiste già, ma il criterio in base al quale selezionare e valutare il materiale che dovrà esservi inserito, per fare in maniera che sia possibile distinguere la cialtroneria dalle interpretazioni evolutive. Quella rete, con cui si è tentata la pesca a strascico, è giusto che vada nel fascicolo di chi ci ha provato, oppure no?

Antonio de Notaristefani

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