Bisogna che lo confessi: dei processi penali non capisco praticamente nulla, e quindi ho l’approccio semplicistico dell’uomo della strada. Dal processo sulla tragedia del ponte Morandi mi aspettavo di sapere, in un tempo ragionevole, se qualcuno ha le mani che grondano sangue, o se si è trattato di una tragica fatalità.
Nel primo caso, che gli sia impedito in maniera efficace di provocare altri morti innocenti; nel secondo, che non vi siano espropri di Stato. Per questo, ho letto con crescente orrore l’articolo pubblicato oggi da un notissimo giurista, che ha illustrato come nella disciplina che dovrà essere applicata a quel processo vi siano molti punti oscuri. Ho visto le mie aspettative di giustizia impantanate in discussioni interminabili sulle regole del processo. È inaccettabile: imputati e morti hanno lo stesso diritto ad avere giustizia, e si finirà a discutere di regole processuali tanto complicate da restare oscure persino ad un giurista illustre.
Per me, il processo è un mezzo, non un fine: le regole devono servire solo a garantire che il risultato sia giusto, nei limiti in cui questo è umanamente possibile. Per questo, devono essere semplici, chiare, ed uguali per tutti. Il processo è al servizio dei cittadini, a cui non frega niente di sapere se il problema di giurisdizione viene prima o dopo quello di competenza, o quale sia l’ordine di trattazione delle questioni in caso di ricorso incidentale condizionato per cassazione.
La giurisdizione – ci ripete ad ogni piè sospinto la Corte – è una risorsa limitata, che non va sprecata: è inaccettabile, sperperarla in questioni solo formali, quando non apertamente formalistiche. E temo che, fino a che non ci si convince di questo, non ci sarà riforma che tenga: il formalismo di chi elabora i testi di legge, e di chi li applica, lo impedirà.
L’ultima, in ordine di tempo, è l’idea che la individuazione delle regole da applicare ai processi civili possa essere affidata, ex post, alla discrezione del giudice. Se ho capito bene, dovrebbe funzionare più o meno così: preclusioni e decadenze maturerebbero sin dagli atti introduttivi, ma se il processo è complesso (?) anche per il numero delle parti, il giudice potrebbe fare finta di nulla, ed assegnare i termini per le memorie integrative che oggi esistono.
Non ho alcun dubbio: se una norma del genere dovesse passare (e mi si dice che il Ministero avrebbe già dato parere favorevole) trascorreremo i prossimi anni a leggere sentenze dottissime ed acutissime che ci spiegheranno quali sono le regole da utilizzare per stabilire quando un processo è complesso e quando no. Ovviamente, chi chiede giustizia dovrà aspettare: noi voliamo più alto, non possiamo occuparci delle loro miserie umane.
L’Europa ha più volte chiesto di diffondere tra gli utenti del servizio giustizia dei questionari di gradimento, per poterne valutare il grado di soddisfazione. Capisco perché la esortazione continui a cadere nel nulla: finché le regole processuali saranno ispirate dal desiderio di garantire la discrezionalità di chi le deve applicare, piuttosto che la eguaglianza dinnanzi alla legge, meglio affidarsi alle più indulgenti valutazioni di professionalità.
Antonio de Notaristefani