Cancellieri: “Mai mentito a Parlamento o a magistrati”

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mercoledì 20 novembre 2013

Intervento del guardasigilli Annamaria Cancellieri alla Camera dei Deputati

Montecitorio, Assemblea

Gentile Presidente, Onorevoli Deputati,
ho già riferito a questa Assemblea sui fatti relativi alla scarcerazione della signora Giulia Ligresti in occasione dell’informativa urgente dello scorso 5 novembre.
Oggi, non posso che rifarmi integralmente a quella ricostruzione, riassumendone brevemente i passaggi salienti e aggiungendo gli elementi di novità emersi in questi giorni.
La vicenda penitenziaria di Giulia Ligresti inizia il 17 luglio 2013 quando viene eseguita nei confronti suoi, del padre Salvatore e della sorella Jonella, una misura cautelare, e si conclude il 28 agosto quando il GIP concede gli arresti domiciliari in seguito ad una consulenza medico legale disposta dalla procura di Torino che accerta come la permanenza in carcere costituisca – virgolette – “un concreto danno per la salute del soggetto”.
Per quanto mi riguarda, il 19 agosto ho informato i vertici del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria delle condizioni critiche di salute della detenuta, che si trovava in custodia cautelare. Condizioni critiche che mi erano state comunicate dallo zio, Antonino Ligresti, al quale sono legata da un lungo rapporto di amicizia.
Si trattava, peraltro, di una situazione che era già nota sia alla magistratura torinese che all’amministrazione penitenziaria in quanto, cinque giorni prima della mia telefonata, il direttore dell’istituto di Vercelli in cui era detenuta Giulia Ligresti, aveva trasmesso all’autorità giudiziaria di Torino una relazione medica che attestava la gravità delle sue condizioni di salute.
Non vi è stato dunque nessun inconsueto zelo, né una anomala tempestività, meno che mai generata da un mio intervento, come adombrato da qualcuno, ma una ordinaria attività di prevenzione che si è sviluppata in maniera assolutamente autonoma come dimostra la scansione temporale degli avvenimenti.
Ho già avuto modo di riportare le affermazioni del procuratore di Torino Giancarlo Caselli, che testualmente ha affermato: “Tutte le risultanze del fascicolo del procedimento relativo a Giulia Ligresti testimoniano in modo univoco e incontrovertibile che la concessione degli arresti domiciliari è avvenuta esclusivamente in base alla convergenza di decisive circostanze obiettive: le condizioni di salute verificate con consulenza medico-legale e l’intervenuta richiesta di patteggiamento da parte dell’imputata, risalente al 2 agosto, e perciò di molto antecedente le conversazioni telefoniche oggetto delle notizie. Ne deriva – cito sempre le parole del procuratore Caselli – che sarebbe arbitraria e del tutto destituita di fondamento ogni illazione che ricolleghi la concessione degli arresti domiciliari a circostanze esterne di qualunque natura”.
La mia comunicazione al Dipartimento Affari Penitenziari, in relazione a questa vicenda, è stata in tutto e per tutto analoga a quelle che io e i miei uffici trasmettiamo quasi quotidianamente in relazione a casi di detenuti che si rivolgono a me per le più svariate ragioni.
Si tratta di decine e decine di situazioni di varia natura, oltre cento solo negli ultimi mesi.
In questi giorni un quotidiano ha raccontato la storia di una detenuta che si è rivolta direttamente a me per cercare di accelerare il suo trasferimento in un carcere più vicino alla famiglia poiché le due figlie adolescenti soffrivano di disturbi psico-fisici connessi alla lontananza dalla mamma.
Ho segnalato la vicenda al Dipartimento Affari Penitenziari, come ho fatto per tanti altri casi su cui non erano accesi i riflettori della cronaca.
Come risulta anche dai giornali, è stato finalmente possibile in questi giorni riavvicinarla alle figlie.
Respingo, quindi, con assoluta fermezza il sospetto che l’esito della vicenda processuale di Giulia Ligresti sia la conferma dell’esistenza di un’odiosa giustizia di classe, che distingue tra detenuti di serie A e di serie B, tra quelli ricchi e quelli poveri.
Sono perfettamente consapevole delle mille difficoltà e disagi che affliggono il sistema carcerario e so bene che il trattamento penitenziario può conoscere, purtroppo, risposte differenti pur in presenza di situazioni uguali. Non vi è stato nessun favoritismo, tanto meno collegato ad un intervento operato dall’alto.
Questo è ciò che dicono i fatti.
Mi addolora sinceramente che anche i comportamenti più ordinari, rientranti nella fisiologia e nella normalità delle procedure, siano stati e vengano ancora letti alla luce di una visione preconcetta e colpevolista ad ogni costo.
Voglio ribadire quanto ho già espresso il 5 novembre: non contano le modalità con cui le segnalazioni arrivano, né da chi provengano, né se la persona che viene segnalata appartenga ad una famiglia in vista o abbia un nome importante.
Sono certa di non essere stato il solo Ministro della Giustizia ad essersi comportata secondo questo elementare principio di imparzialità, né ritengo che una siffatta condotta rappresenti uno speciale merito. Al contrario, è quanto normalmente ci si aspetta in un Paese civile da Istituzioni democratiche. Ma oggi concedetemi di poterlo ribadire ancora una volta senza esitazione: i miei doveri di Ministro della Giustizia e la mia coscienza non mi avrebbero consentito di comportarmi in questo caso, diversamente da come ho fatto in tutti quelli che, attraverso le più varie strade, arrivano ogni giorno alla mia attenzione.
Tornando alla vicenda della signora Giulia Ligresti, ho già avuto modo di riferire al Parlamento che con la telefonata del 17 luglio alla signora Gabriella Fragni, ho solo ed esclusivamente inteso manifestare ad una persona che conoscevo da molti anni, la mia umana vicinanza, mostrando comprensione per la profonda sofferenza che stava provando in quel momento, determinata dall’arresto di tutti i suoi familiari.
In quell’istante la spinta a condividere umanamente lo stato di prostrazione di una persona, ha prevalso sul doveroso distacco che il ruolo di Ministro impone.
Come ho già riconosciuto il 5 novembre in Parlamento, ne provo dispiacere e sincero rammarico.

Credetemi, ne sono intimamente rammaricata.
Non posso fare a meno, tuttavia, di constatare che su alcuni passaggi di questa conversazione si è arrivati a costruire congetture inaccettabili. Le singole parole estrapolate dal contesto e senza tener conto  della emotività della situazione, sono state interpretate come dirette a delegittimare l’operato della magistratura o addirittura come un impegno ad andare oltre i miei doveri istituzionali.
Tutto ciò è assolutamente falso.
A dimostrarlo c’è la mia lunghissima storia professionale al servizio dello Stato e soprattutto i comportamenti che ho sempre tenuto anche in questa specifica vicenda.
Nei giorni immediatamente successivi alla mia informativa del 5 novembre in Parlamento, alcuni articoli di stampa hanno nuovamente rimesso in discussione la correttezza del mio operato.
Si è sostenuto che io abbia omesso di riferire circostanze rilevanti al Pubblico Ministero di Torino nel corso dell’audizione del 22 agosto, di cui non conoscevo le motivazioni, ed in particolare che avrei taciuto di una terza telefonata tra me ed Antonino Ligresti avvenuta il 21 agosto.
Non vi è stata da parte mia alcuna omissione o reticenza.
E lo dimostrano in modo inconfutabile i contenuti del verbale della mia audizione, oggetto di valutazione anche da parte della magistratura torinese, in cui ho dichiarato al PM che – cito testualmente – “ieri sera (cioè in data 21 agosto) Antonino Ligresti mi ha inviato un sms chiedendomi se avessi novità e gli ho risposto che avevo effettuato la segnalazione nei termini che ho sopra spiegato, nulla di più”.
Ora, si può ampiamente discettare sul significato letterale del termine “risposto”.
Ma la circostanza che lo stesso magistrato di Torino, che ha provveduto personalmente alla redazione del verbale, abbia ritenuto di non richiedere ulteriori specificazioni circa le modalità con cui tale risposta si sarebbe estrinsecata, credo che deponga per la sostanziale ininfluenza della questione.
Su questo punto è dirimente il fatto che sono stata io stessa a riferire del contenuto delle comunicazioni intervenute con Antonino Ligresti, spiegandone il senso.
Se non l’avessi fatto, i contenuti di quelle comunicazioni, che non erano stati intercettati, mai sarebbero diventati noti.
Ho risposto con sincerità alle domande poste e con la coscienza di chi sapeva che nulla di illecito o anche di semplicemente irregolare aveva commesso.
Ho raccontato che il 19 agosto Antonino Ligresti mi ha detto che la nipote stava male, che lo stesso giorno ho avvisato di questo i vertici del Dipartimento Affari Penitenziari, che il 21 di agosto Antonino Ligresti mi ha chiesto ulteriori notizie e che io gli ho riferito quello che mi ero limitata a fare.
Peraltro lunedì scorso è stata la stessa Procura di Torino a comunicare che nessun soggetto è stato iscritto nel registro degli indagati e che nel fascicolo trasferito alla Procura di Roma non si ravvisano, allo stato degli atti, ipotesi di reato.
Non ho mentito dunque al Parlamento, né ai magistrati su alcun elemento di fatto che poteva essere utile a chiarire ogni aspetto della vicenda.
Non ho mentito neppure sulla mia amicizia con uno dei membri della famiglia Ligresti, Antonino.
Siamo amici da molti anni. È amico di mio marito. Ci vediamo e ci sentiamo spesso al telefono. Il fatto che vi siano dei contatti è dovuto a questo. Nel processo relativo alla Fonsai, Antonino non é stato mai indagato né ha avuto alcun ruolo. Come molti sanno, opera da anni in Francia in campo sanitario e non ha alcun rapporto di affari con il fratello Salvatore.
Respingo con forza l’automatismo, privo di qualunque sostanza, secondo il quale da questo rapporto di amicizia sarebbero derivati favoritismi o addirittura abusi connessi con il ruolo istituzionale da me ricoperto.
I fatti dimostrano il contrario.
C’è un passaggio della mozione in discussione, che vorrei citare testualmente: “In carcere si soffre e si muore: ogni giorno è emergenza umanitaria nelle nostre carceri”.
Si tratta di un passaggio tanto forte, quanto purtroppo drammaticamente reale e che condivido pienamente.
D’altronde, la denuncia più circostanziata e drammatica dell’emergenza carceraria è stata formulata nel messaggio del Presidente della Repubblica al Parlamento.
Una priorità da affrontare sia sul piano delle misure normative che delle azioni amministrative per risolvere il problema del sovraffollamento ma anche per migliorare le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari.
Alcune misure sono già state adottate.
Molte altre dovranno essere ancora varate nella direzione di un forte mutamento culturale nel modello dell’esecuzione della pena.
In questo senso un grande incoraggiamento a continuare nella direzione intrapresa ci viene dall’Europa, dove è stato ampiamente apprezzato, nel corso del recente incontro alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo del 4 e 5 novembre, l’impegno intrapreso dal Governo italiano per far fronte all’emergenza carceraria.
Ma non è solo al carcere che bisogna guardare per modernizzare il sistema della giustizia.
E’ altrettanto urgente affrontare risolutivamente il tema della durata irragionevole dei processi, civili e penali, semplificando le procedure ma senza disperdere, anzi rafforzando, le garanzie delle parti processuali, specie dell’imputato nel processo penale.
Di recente è uscito il rapporto per il 2014 della Banca Mondiale “Doing Business” che analizza, dal punto di vista delle imprese, il grado di competitività dei servizi di 189 Paesi e dunque la loro attrattività.

Riporto questo dato senza alcun trionfalismo, in primo luogo perché i problemi della nostra giustizia civile sono ben lungi dall’essere risolti ed in secondo luogo perché non possiamo certo considerarci appagati dal balzo dal 140° posto al 103°.
Ma ciò non significa che questo dato non debba essere letto come un importante incoraggiamento ad andare avanti su una strada di riforme ed interventi mirati che riducano finalmente la durata dei nostri processi in ambito civile e rendano più certe e prevedibili le decisioni che vengono assunte.
Prima di chiudere sento la necessità di manifestare la mia amarezza per come l’intera vicenda si è sviluppata con risvolti che hanno toccato il mio onore e anche quello della mia famiglia.
Si è partiti con un’accusa di indebite interferenze sulla scarcerazione di Giulia Ligresti; caduta questa accusa, si è passati a quella di aver mentito ai magistrati affermando di aver ricevuto, e non di aver fatto, il 19 agosto, una telefonata ad Antonino Ligresti, mentre – ammesso che questo dettaglio abbia una qualche rilevanza -si è poi accertato che era stato lui a cercarmi per primo; spunta allora l’accusa di aver omesso di parlare di una terza telefonata che sembra essere l’unica novità rispetto ai fatti sui quali ho riferito in Aula il 5 novembre. Ebbene, anche in questo caso risulta per tabulas che ho riferito al PM l’esistenza di questo contatto e sono stata anzi io a comunicarne il contenuto.
Infine, si è detto che avrei mentito al Parlamento ed alla Procura. Ho provato ripetutamente a spiegare che non è vero. Consentitemi di dire che io stessa non nascondo di aver avuto difficoltà, a tratti, a comprendere i confini, i contenuti e le vere ragioni delle contestazioni che mi venivano mosse.
Dunque, tutto quello che mi viene contestato è smentito dai fatti e dalla magistratura che se ne è occupata nella quale ho sempre riposto la massima fiducia.
Da parte mia l’impegno e la dedizione sono totali.
Devo riconoscere che in queste settimane non mi è mai mancato il convinto sostegno del Presidente del Consiglio e degli altri colleghi di Governo.
Sono a tutti loro profondamente grata, confidando che anche il Parlamento mi voglia confermare la sua fiducia. Conto poi di poter avere il sostegno delle Camere sugli importanti provvedimenti in materia di giustizia che sono in gestazione.
Ho affrontato queste giornate da persona libera che non ha contratto debiti di riconoscenza a cui non sarebbe in grado di sottrarsi e da persona forte per la profonda convinzione di aver agito sempre in assoluta fedeltà e lealtà alle istituzioni.
Se avessi avuto solo un dubbio sulla correttezza del mio operato, non avrei atteso un istante a lasciare ad altri questo delicato incarico. In quasi cinquant’anni trascorsi al servizio dello Stato non sono mai venuta meno al principio che nessuna posizione personale può prevalere o essere anteposta all’interesse superiore del Paese.
Vi ringrazio per l’attenzione.
Annamaria Cancellieri
Ministro della Giustizia

 

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