20 novembre 2020 – Oggi, ho fatto udienza a Roma, in presenza, perché era un cautelare. L’udienza era stata fissata alle 10.30 ma, qualche giorno fa, mi era arrivato un decreto: “…ritenuto necessario scaglionare le udienze al fine di non dare causa a possibili assembramenti nei corridoi, e dunque trattare le proprie cause nella fascia pomeridiana … differisce la trattazione della causa alle ore 15..”. Guanti, mascherina, gel disinfettante. Qualche minuto prima delle 15, il giudice esce dalla sua aula e ci invita ad accomodarci. Dice proprio così: potete accomodarvi. E siccome mancava uno dei difensori, aggiunge: lo aspettiamo. Do’ uno sguardo al ruolo, appeso alla porta di ingresso: una causa ogni mezz’ora, l’ultima alle 17.30. Nell’aula ci sono sedie anche per noi. A distanza, ma ci sono. La discussione inizia, parlo, ascolto, e nel chiedere di replicare, quasi mi scuso: poche parole. La risposta, immediata e cortese, è: avvocato, si prenda pure il tempo che le occorre. La verbalizzazione è puntuale: sintetizza ogni intervento, invitandoci ad interromperlo se dovesse sbagliare, poi lo rilegge e, alla fine, rilegge l’intero verbale. Poi, precisa: Sigg. Avvocati, mi e’ parso doveroso lasciare alle difese lo spazio che reputavano necessario, anche se forse alcuni dei profili trattati non attenevano alle questioni possessorie di cui si discute in questa causa. Ancora una volta, dice proprio così: Sigg. ri Avvocati. Poi, si riserva. È bello, vedere che ci sono giudici che interpretano la loro funzione come un servizio da rendere, e non come un potere da esercitare: fa capire che l’esercizio diffuso della giurisdizione lo condividiamo con loro, e fa toccare con mano la utilità della nostra funzione, e delle udienze che siano realmente di “trattazione”, quando vengono celebrate con serietà. Nella mia vita professionale, ormai piuttosto lunga, ho incontrato moltissimi magistrati, e parecchi giudici. Sono stato molto fortunato, perché con questi ultimi non c’era norma processuale tanto sbagliata da impedire di fare un buon processo. Oggi, sono stato fortunato di nuovo: ne ho incontrato un altro. Non vi dico il nome: si è riservato.
Antonio de Notaristefani