DELL’ACCESSO ALLA PROFESSIONE, E DELLA MONOCOMMITTENZA

Cominciano la audizioni sui disegni di legge che vorrebbero affrontare due problemi che sono entrambi gravi, e che sono distinti, ma vengono sovrapposti. L’accesso alla professione – che è cosa ben diversa dall’iscrizione all’albo, per molti anni consentita più o meno a tutti nel tentativo di carpirne il consenso – sicuramente richiede delle tutele di reddito che oggi non ci sono: il mondo è cambiato, la pratica forense non è più appannaggio esclusivo dei rampolli della buona borghesia che non hanno bisogno di guadagnare per potersi mantenere, e una categoria che non sappia valorizzare al proprio interno il merito e rimettere in funzione l’ascensore sociale si condanna da sola. Certo, ci sarà meno disponibilità ad accogliere i giovani negli studi per la pratica, ma non è detto che sia un male: non è giusto nei loro confronti, rinchiuderli tutti in un recinto di speranze senza sbocco, solo perché è meglio ostentare una moltitudine di professionisti virtuali, piuttosto che confessare un corrispondente numero di disoccupati effettivi. Credo però che la nuova frontiera dell’accesso siano le specializzazioni: ormai il danno è fatto, ed è difficile ipotizzare di riqualificare un quarto di milione di avvocati. Se riusciranno a garantire maggiore equità nella distribuzione delle opportunità di lavoro, e la valorizzazione del merito, la sfida sarà vinta, altrimenti si ridurranno alla ennesima speculazione sul bisogno di lavorare dei giovani, un po’ come la buona entrata, ormai fortunatamente quasi scomparsa. Diversa mi sembra la posizione di chi lavora esclusivamente per altri avvocati non per il tempo necessario ad imparare il mestiere, ma per una scelta di vita, più o meno necessitata, che spesso sotto le mentite spoglie di una attività libero professionale nasconde un rapporto di lavoro subordinato. Sicuramente lì il bisogno di tutela è maggiore, ma forse non riguarda soltanto loro. L’indipendenza degli avvocati, che per la Corte di giustizia UE e per me resta un requisito fondamentale, che li distingue dai cd. giuristi di impresa, è posta a tutela non nostra, ma dei cittadini: che quindi hanno diritto di sapere chi ha un rapporto tanto assorbente da poterne condizionare le stesse scelte difensive. Bisogna tutelare anche loro. E bisogna tutelare pure quei colleghi che potrebbero subire le iniziative di chi, avendo comunque un reddito garantito, e non dovendo sopportare i costi di gestione di una struttura, potrebbe concorrere slealmente, operando al massimo ribasso e sottraendo così alla professione reddito e dignità. Chissà, forse garantire tutela ai giovani scoraggerà anche certe convenzioni indegne.
 Lo so, gli avvocati dipendenti sono sempre esistiti, ed io ne ho conosciuti alcuni che erano sicuramente più bravi di me. Ma erano iscritti agli albi speciali, non ingannavano i clienti, e non concorrevano con quelli che, essendo esposti ai rischi del mercato, hanno diritto alla lealtà della concorrenza: forse e’ quella, la quadratura del cerchio.

Antonio de Notaristefani

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