DOVERE DI SINTESI, E LIMITI: ALLA DIMENSIONE DEGLI ATTI, O AL DIRITTO DI DIFESA?

Traspare in filigrana, in più punti della legge delega sulla riforma del processo civile, un qualche senso di fastidio, e il convincimento del Legislatore che, se i processi durano troppo, è anche perché gli Avvocati scrivono troppo (e male) e così facendo costringono i giudici a dare risposte su questioni spesso inutili, perché di soluzione praticamente scontata. Per questo, si cercano rimedi, non è ancora ben chiaro quali.
Non c’è dubbio, che molti Avvocati scrivano troppo, e male: il percorso formativo non prevede niente per evitarlo, e la pratica spesso è quella che è. Su quello, sicuramente bisognerebbe intervenire. Ma ho qualche difficoltà a condividere una idea di processi fatti di principi immutabili e chiari, e di Avvocati il cui compito consista soltanto nel richiamarli, dopo avere raccontato i fatti: nei giudizi che da quarant’anni vedo nei Tribunali le cose non stanno quasi mai così, e quasi mai torti e ragioni si possono spaccare con l’accetta una volta per tutte. E’ per questo, che vorrei soltanto giudici che vivessero il tormento del dubbio, piuttosto che incrementare la efficienza di una catena di montaggio fatta per produrre decisioni.
Non è vero, che le regole siano immutabili: esse nascono dalla interazione tra il testo della legge e la sensibilità dell’interprete, e quindi mutano con l’evolversi di questa e con la dialettica del processo: “… la “norma” non è il presupposto o l’oggetto, ma il risultato della interpretazione, che si alimenta di tecniche discorsive di tipo argomentativo e persuasivo ispirate al principio di ragionevolezza…”.
Per questo, l’Avvocato deve concorrere a crearle, le norme, e non limitarsi a richiamarle: “Egli non è un mero consulente legale con il compito di pronosticare l’esito della lite e di informarne il cliente, nè è un giudice cui spetta la decisione; egli ha l’obbligo di proporre soluzioni favorevoli agli interessi del cliente, anche nelle situazioni che richiedono la soluzione di problemi interpretativi complessi, di attivarsi concretamente nel giudizio con gli strumenti offerti dal diritto processuale, indicando strade interpretative nuove, portando argomenti che facciano dubitare delle soluzioni giurisprudenziali correnti e anche della giustizia della legge, sollevando eccezioni di incostituzionalità e di contrarietà con il diritto sovranazionale, ecc..
E’ significativo che l’art. 360 bis c.p.c., n. 1, nel prevedere l’inammissibilità del ricorso per cassazione che ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, imponga alla Corte di cassazione di valutare se “l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”, confermandosi in tal modo il ruolo attivo e propositivo dell’avvocato per la più efficace tutela degli interessi del cliente nel processo” (entrambi i brani citati sono tratti dalla motivazione di Cass. SS. UU. 4135/2019: con buona pace di chi invoca la intelligenza artificiale come soluzione ai problemi della giustizia).
E per questo, è giusto porsi l’obiettivo di una maggiore capacità di chiarezza e sintesi, e persino premiare chi dovesse riuscire a conseguirlo. Non lo è sanzionare chi cerca di svolgere quel compito propositivo così ben descritto dalla Corte, e men che mai impedirgli di farlo.
Confido, perciò, che non saranno imposti dei limiti dimensionali agli atti difensivi, perché una scelta del genere significherebbe limitare non la prolissità di alcuni avvocati, ma il diritto di difesa di tutti: quante pagine mi verrebbero concesse, se devo concorre a creare nuove norme, proponendo strade interpretative innovative, per tentare di fare cambiare idea alla Corte Suprema su di una questione complessa?

Antonio de Notaristefani

Share