IL PIL NON MISURA LA GIUSTIZIA DEI NOSTRI TRIBUNALI NE’ LA EQUITÀ DEI RAPPORTI TRA DI NOI

Ora che il termine per la presentazione del Recovery plan si avvicina, tutti i giornali improvvisamente hanno preso ad occuparsi della giustizia civile. Anche oggi, un prestigioso quotidiano sottolinea che una sua riforma deve consentire all’Italia di uscire dal deficit storico di crescita che ha ingabbiato il Paese nell’ultimo ventennio. È vero: la giustizia civile può costituire un formidabile volano per l’economia, e se in tutti questi anni qualcuno si fosse preoccupato di far sì che i debiti si pagassero, e i contratti si rispettassero, saremmo tutti più ricchi. Ma mi preoccupa molto, e non poco, questa attenzione ormai esclusiva per i riflessi che la efficienza della giustizia può produrre su quel PIL che – secondo quel bellissimo discorso che sintetizzava il sogno americano, dal quale ho copiato il titolo- “misura tutto, in breve, eccetto cio’ che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. La giustizia civile sicuramente può contribuire a produrre ricchezza; ma i diritti non sono merce, e i Tribunali non sono aziende: l’efficienza è indispensabile per accrescere il livello della tutela, ma non deve sacrificare la equità delle sentenze, che devono garantire in primo luogo la eguaglianza tra i cittadini, e soltanto poi il ritorno in termini di profitto per le imprese, e di reddito per l’azionista. È vero, c’è la crisi, e abbiamo necessità di una ripresa; ma la crisi ha svuotato i portafogli di molti, non di tutti: e la giustizia civile dovrà ridurre, e non accrescere le diseguaglianze. C’è bisogno di ripristinare la equità dei rapporti sociali, stravolta dalla pandemia, prima ancora che favorire l’accumulo di capitale. Bilanciare la equità con la efficienza significa operare una scelta di valori, e non tecnica; per questo, confido che chi è chiamato ad assumerla abbia ben chiare nella testa le ragioni della economia, ma quelle della giustizia le porti racchiuse nel cuore.
Antonio de Notaristefani

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