5.8.2020 – A caldo, l’impressione sullo schema di disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario è di apprezzamento per lo sforzo di buona volontà, e di delusione per la modestia dei risultati: nonostante alcuni miglioramenti innegabili, l’andamento dell’amministrazione della giustizia resta appannaggio esclusivo dei magistrati.
Nei Consigli giudiziari, per le valutazioni di professionalità dei giudici, avvocati e docenti universitari potranno partecipare alla discussione ed assistere alla votazione, ma non votare.
In sostanza, la correttezza della progressione di carriera dei giudici sembra rispondere non all’interesse dei cittadini ad avere una giustizia migliore, ma a quello degli altri magistrati di non vedersi scavalcare ingiustamente dai colleghi.
Nel decidere se confermare oppure no qualcuno nelle funzioni direttive, il Consiglio Superiore della Magistratura dovrà tenere conto del parere dei magistrati dell’ufficio, e delle osservazioni dei Consigli dell’Ordine: non è difficile intuire la differenza tra i due termini.
Quanto alla riforma elettorale del CSM, davvero qualcuno crede che in un sistema in cui esiste una organizzazione del consenso l’eletto possa giudicare senza condizionamenti dei suoi elettori, e della loro carriera?
L’Europa ci ha indicato, come criticità della nostra giustizia, la percezione di una scarsa indipendenza dei giudici, e la poca efficienza del sistema.
Forse, tutti noi dobbiamo imparare a pensare in modi nuovi.
Devono imparare a farlo i giudici: devono capire che loro non esercitano un potere, ma forniscono un servizio dei cui risultati devono rendere conto a chi ne usufruisce, e non soltanto ai loro colleghi. Non voglio sminuirli: fornire un servizio ai cittadini è attività ben più nobile e delicata che esercitare un potere.
Dobbiamo imparare a farlo noi avvocati: dobbiamo capire che una giustizia troppo lenta è denegata, ed occorre individuare un equilibrio ragionevole tra ponderazione, garanzie ed efficienza, perché noi non ci limitiamo a rappresentare i nostri clienti, ma facciamo da collegamento tra i cittadini ed il mondo della giurisdizione, e quindi dobbiamo farci carico anche della efficienza del suo funzionamento.
Tutti noi protagonisti dell’esercizio diffuso della funzione giurisdizionale – secondo la felice espressione delle Sezioni Unite – abbiamo davanti a noi una opportunità straordinaria e probabilmente unica: se la sprecheremo, ne porteremo la responsabilità nei confronti dei cittadini, di coloro a cui dovremo passare il testimone, e forse persino davanti alla storia. Non accadrà, ne sono certo.
Antonio de Notaristefani