LA PROCURA “SPECIALE” TRA FORMALISMO, APPROSSIMAZIONE E INDIFFERENZA

Ci risiamo: ancora una volta, è probabile che le Sezioni Unite saranno chiamate a stabilire quali sono i requisiti formali minimi indispensabili perché una procura rilasciata ex art. 365 cpc possa ritenersi “speciale”, e quindi il ricorso ammissibile. Per le parti,  speriamo definiscano rapidamente quel giudizio, iniziato nel 1995.
Non mi illudo, invece, che riescano a porre termine alla questione, di cui io sento parlare da quando, quasi quarant’anni fa, mi sono iscritto all’albo dei praticanti. Ma e’ molto più antica, in realtà: la prima decisione delle Sezioni unite sul punto è del 1961. Da oltre sessant’anni, in una specie di gioco dell’oca, continuiamo a discutere di cosa è necessario perché una procura possa dirsi “speciale”, senza evidentemente riuscire a venirne a capo. Una parte di quella giurisdizione che costituisce una risorsa limitata e’ andata dissipata in questa diatriba, di cui siamo responsabili un po’ tutti.
Lo sono i giudici della Suprema Corte, il cui formalismo ormai esasperato li porta a sprecare una parte significativa del loro tempo, piuttosto che a fare giustizia, a risolvere conflitti che loro stessi hanno creato, a volte inutilmente.
Lo siamo noi avvocati, che evidentemente continuiamo ad ignorare, o comunque a sottovalutare, una questione che ormai dovrebbe essere diventata noiosa, più che nota, ma che continua a mietere vittime.
Lo è il Legislatore, che da decenni considera la disciplina dei processi civili come la tela di Penelope, ma non ha trovato il tempo o la voglia, tra mille interventi, di chiarire cosa significhi esattamente quel maledetto “speciale” inserito nell’articolo 365, oppure di sopprimerlo, e tagliare la testa al toro una volta per tutte. L’Europa sostiene che da noi si fanno troppe cause, a volte inutili, e bisogna ridurle. Ascoltiamola: cerchiamo di eliminare il problema della specialità della procura, e tutto quel contenzioso sulle regole che serve ad esibire la propria acutezza, non a stabilire chi ha ragione e chi ha torto, che dovrebbe essere lo scopo per cui si fanno i processi. È in preparazione l’ennesima riforma: chissà che questa volta non avvenga un miracolo, e si sistemino quelle regole su cui ci sia accapiglia da anni – tra le tante: quand’e’ che la condizione di procedibilita’ della mediazione può dirsi adempiuta? E le critiche alla Ctu si possono sollevare con la conclusionale, o bisogna farlo prima? – piuttosto che inventarne di nuove la cui interpretazione, ci scommetto, darebbe comunque luogo ad infiniti contrasti, destinati a finire  inutilmente alle Sezioni Unite in men che non si dica.
Antonio de Notaristefani

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