L’OSCURITÀ DEL LEGISLATORE, TRA MOLTIPLICAZIONE DEL CONTENZIOSO E STRAPOTERE DEI GIUDICI

Sono stato invitato a discutere, tra qualche giorno, del problema della prededucibilita’, nel successivo fallimento, del compenso dei professionisti che si sono occupati del concordato.
È questione di cui mi interesso da anni, e su cui si sono sprecati fiumi di inchiostro. Sembrava si fosse un po’ sopita, ma all’improvviso è riesplosa: nel mese di gennaio, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, due provvedimenti della Corte Suprema l’hanno riaperta, adottando soluzioni opposte. Sembrano entrambi plausibili, anche ad un esame attento, e forse davvero lo sono: chi può dire quando è che un debito è sorto “in funzione “ di una procedura concorsuale? È tale il compenso di un avvocato, se l’esito vittorioso della causa che ha curato per conto della impresa lo consegna nelle mani del curatore fallimentare? È tale la rata differita di prezzo di un bene strumentale ormai di proprietà della impresa, se viene autorizzato un concordato in continuità o l’esercizio provvisorio?
Adesso, sulla questione si pronunzieranno le Sezioni unite; ma è sin troppo evidente che non si limiteranno a fornire una interpretazione di una espressione che chiaramente può avere più significati: stabiliranno loro quando è giusto riconoscere la prededucibilita’, non quando il Legislatore ha voluto che venisse riconosciuta. Adotteranno, cioè, una decisione “politica”, perché detteranno una regola di diritto astratta, non applicheranno quella esistente al caso concreto. Come tutte le decisioni politiche, sarà opinabile; e poiché il precedente non è vincolante (con buona pace dell’art. 374 comma 3) fioccheranno interpretazioni diverse, e tutti continueranno a tentare la sorte, nella speranza di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, quando uno dei tanti revirement, ormai sempre più frequenti, ribalteranno tutto, e faranno dare ragione a chi sembrava avere torto.
È questa, io credo, una delle ragioni del moltiplicarsi del contenzioso: perché mai dovrei accettare una sconfitta, o una transazione a condizioni modeste, se posso sempre sperare di pescare un asso dal mazzo, quando in mano ho tutte scartine? E perché mai un giudice non dovrebbe sentirsi libero di decidere diversamente dalle Sezioni unite, se queste ultime non si sono limitate ad interpretare la legge, ma hanno fatto una scelta “politica”? Perché non dovrebbe poter avere una visione politica diversa, se non esiste il vincolo dello stare decisis?
Non avrei alcuna obiezione da muovere, se quelle leggi dal significato oscuro non provenissero, nella maggior parte dei casi, da uffici legislativi di ministeri, retti da quegli stessi magistrati che poi si si sbizzarriscono nella interpretazione di quel che i loro colleghi hanno escogitato.
Ed in questa gara a chi eccede in acutezza, o cerca di imporre agli altri la sua visione di quel che è giusto e quel che non lo è, sta naufragando la giustizia civile: quanto rimpiango la chiarezza di quell’art. 2394 del codice civile, che stabilisce che l’azione di responsabilità dei creditori sociali può essere proposta quando l’insufficienza patrimoniale della società “risulta”! Quanti anni di studi severi, quanta riflessione, quanta chiarezza di idee si intravedono dietro quel “risulta”, in cui un giurista insigne ha distillato in maniera limpida un concetto complesso. Altri tempi, altri uomini.
Antonio de Notaristefani

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