PROCESSUS EST ACTUS TRIUM PERSONARUM….

Per me, le tradizioni hanno la loro importanza. Certo, ci si deve intendere: rispettare le tradizioni significa custodire il fuoco, non adorarne le ceneri. La disciplina del processo, non a caso si chiama “rito”: al suo interno si mescolano elementi simbolici, ed esigenze pratiche. Durante la pandemia, in occasione di trattazioni scritte, mi e’ capitato di dover ascoltare clienti che, sgomenti, mi chiedevano: avvocato, ma come? Davvero il giudice non ha voluto ascoltarla esporre le mie ragioni? Per loro, quello non era un diverso modo di amministrare la giustizia: più semplicemente, non era giustizia, perché la giustizia il giudice la rende soltanto dopo aver ascoltato le ragioni dei contendenti. Per questo, il processo è actus trius personarum: se non ci sono tutti e tre, c’è un procedimento, non un processo. E per questo, le Sezioni unite, in una sentenza del 2017 – che non esito a definire “storica”, e che almeno fino a poco tempo fa si leggeva sul sito del Cnf – hanno qualificato noi Avvocati come i necessari partecipi dell’esercizio diffuso della funzione giurisdizionale. Lo siamo davvero. Ed insieme a noi, lo sono davvero anche i giudici. Da troppo tempo, ci siamo abituati a vivere in un paese in cui abbondano i giuristi, ma scarseggiano i giudici, e questo può avere creato qualche errore di prospettiva: dei giuristi si può anche fare a meno, ma senza Avvocati e senza Giudici, nelle aule dei Tribunali si potrà applicare la legge, ma la Giustizia non alberga. Per questo, con sgomento ho sentito dire che, oggi, il Governo avrebbe presentato un emendamento in forza del quale ipotizzano di risuscitare il vecchio processo societario, e fare i processi senza giudici. Spero mi abbiano informato male: dei Giudici e degli Avvocati è più facile parlare male che fare a meno. Davvero qualcuno ipotizza che gli Avvocati gestiscano i processi da soli, e i giudici da soli assumano le decisioni? E, quanto al metodo: davvero qualcuno ipotizza che la disciplina del processo civile possa essere dettata da un emendamento predisposto in sordina negli uffici ministeriali, e presentato di soppiatto ad una Commissione che finisce così con il trasformarsi in ostaggio della sopravvivenza del Parlamento?
Mi si dice che chi ha steso il codice di rito, tanti anni fa, lo ha sottoposto, prima che alla approvazione del Parlamento, al confronto con gli addetti ai lavori. Altri tempi, si sa. Altri uomini. Forse per questo, quel codice lì è sopravvissuto per decenni, e le riforme attuali hanno più o meno la stessa durata della permanenza in carica degli uffici di diretta collaborazione, nei quali non è vero che vi siano troppi giudici: anche lì, di solito abbondano i giuristi, non i giudici.

Antonio de Notaristefani

Share